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Astrologia e Scienza III: Plutone e la Fascia di Kuiper

Aggiornamento: 12 set 2022

 

Articolo di Massimo Moras


Tra le principali obiezioni che gli astronomi contestano alle basi considerate pseudo-scientifiche dell’astrologia tradizionale vi è anche quella, degna di maggiore attenzione da parte dell’astrologo serio, che la tarda integrazione nel discorso astrologico di Urano, seguita da Nettuno e Plutone, sia stata alquanto artificiosa e giustificata dal fatto che avrebbe probabilmente risolto una serie di imprecisioni nelle predizioni. “Ma ora che Plutone è stato retrocesso dallo stato di pianeta a semplice oggetto appartenente alla Fascia di Kuiper”, si chiede Philippe Zarka dell’Osservatorio di  Parigi, “perché gli astrologi non lo rimuovono dalla lista dei pianeti e confessano che in realtà non ha apportato nessun miglioramento?”[1] E se decidessero di tenerlo, si chiede ancora l’astronomo francese, che dire degli altri oggetti recentemente scoperti la cui lista sta crescendo di giorno in giorno e che hanno caratteristiche simili a Plutone, quali Sedna, Quaoar, ecc.


L’obiezione è legittima e – a scanso di equivoci – si tiene da subito a sottolineare che il sottoscritto, nella sua attività nell’ambito dell’astro-statistica applicata allo sport, ha di recente sospeso Plutone dal suo campo di ricerca, almeno fino a quando non avrà fatto chiarezza sull’argomento, accogliendo dunque l’appello di un astronomo competente e illuminato quale Zarka che, a sua volta, ha riconosciuto come le obiezioni dell’astronomia non siano sufficienti ad escludere che l’astrologia possa presentare alcune attribuzioni degne di una disciplina scientifica. Questo è un grosso passo avanti nel dialogo tra Astrologia e Scienza che meriterà di essere approfondito ulteriormente.


Mentre su Urano e Nettuno (scoperti rispettivamente nel 1781 e 1846) non vi sono dubbi circa la fondamentale importanza nell’ambito del discorso astrologico in termini di significazione simbolica e accuratezza previsionale, per quanto concerne Plutone “le attribuzioni simboliche sono ancora scarse e ancora non verificate con risposte attendibili nella pratica oroscopica“.[2]


Un po’ di storia


Nel 1801, l’astronomo italiano Giuseppe Piazzi (1746 – 1826) scoperse un debole corpo luminoso tra Marte e Giove che chiamò Cerere, in onore della divinità romana patrona della Sicilia. Dopodiché, altri piccolissimi oggetti celesti furono trovati da ricercatori tedeschi tra il 1802 e il 1807: Pallade, Giunone e Vesta. Entro il 1890 ne furono scoperti oltre trecento e fu chiaro a tutti che non si poteva trattare di pianeti nel senso tradizionale del termine. Gli astronomi decisero quindi di chiamarli asteroidi o pianetini, in quanto decisamente inferiori nelle proporzioni ai pianeti conosciuti.


Ma veniamo al 1846, quando venne scoperto Nettuno, il quarto dei pianeti giganti situati oltre la fascia degli asteroidi. Con otto pianeti conosciuti, gli astronomi cominciarono a chiedersi se non ci fossero altri mondi sconosciuti laggiù in attesa di essere esplorati. Nel 1930, una ricerca sistematica rivelò quelle che sembravano essere le fattezze – forse eccessivamente ridotte – del pianeta numero nove. In virtù della sua orbita distante intorno al Sole, tale oggetto venne dunque classificato come pianeta e presto chiamato Plutone, in onore alla divinità dell’oscurità e dell’oltretomba nella mitologia romana.



Le cose rimasero intatte per 65 anni. Sebbene l’orbita di Plutone apparisse più allungata rispetto agli altri pianeti (e addirittura incrociasse quella di Nettuno) sembrava essere un corpo isolato nella sua remota regione dello spazio, come Cerere prima della scoperta degli altri asteroidi. A partire dal 1995, tuttavia, astronomi con strumentazioni più avanzate cominciarono a notare la presenza di parenti prossimi a Plutone, fino alla scoperta, nel 2003, di un oggetto altrettanto grande – definito pianeta ‘nano’ – che chiamarono Eris, in onore alla divinità greca della discordia. Ad oggi, si contano migliaia di oggetti simili nella loro orbita attorno al Sole, nello spazio oltre Nettuno, detto Fascia di Kuiper dal nome di uno degli astronomi che ne ipotizzò l’esistenza.

Ecco un video che illustra perché Plutone non possa più essere considerato un pianeta (sottotitoli in italiano):



Per concludere, riportiamo le parole di un altro grande astronomo illuminato che così si esprimeva circa la pretesa degli astrologi di saperne comunque sempre di più e meglio degli astrofisici stessi in materia di pianeti, pianetini e mondi sconosciuti appena emersi dalle tenebre. Scriveva dunque Giorgio Buonvino: “Ancora oggi nessuno sa perché il sistema solare è fatto così; forse i pianeti furono originati dal Sole, forse Venere fu una cattura, forse Plutone è un antico satellite di Nettuno, forse, forse, ma il perché non si sa. Invece gli astrologi, quando gli astronomi hanno appena scoperto un pianeta, ne conoscono subito le sue caratteristiche e i suoi influssi e immediatamente se ne servono. Beati loro, a noi scoprire qualcosa costa tanta fatica, quintali di carta, migliaia di calcoli e di notti insonni. Oggi, oltre la Terra, il sistema solare comprende dieci corpi principali compresa la Luna, e siccome pare che ogni segno debba essere governato da un pianeta, ce ne dovrebbero essere almeno altri due. Però, visto che la divisione dello zodiaco in dodici parti è arbitraria, questa affermazione mi pare alquanto cervellotica, tenendo poi conto, in più, che il principio di similitudine vale in geometria, ma non in fisica e tanto meno in astronomia”[3]. Food for thought, spunti interessanti su cui meditare opportunamente, per far evolvere il dialogo tra l’astrologia seria e la scienza illuminata a livelli proficui per entrambi, per il bene della conoscenza e della multilateralità di ogni discorso sopra i massimi sistemi.



Bibliografia


1) Philippe Zarka, Astronomy and Astrology, in The Role of Astronomy in Society and Culture Proceedings IAU Symposium No. 260, 2009, D. Valls-Gabaud & A. Boksenberg, eds., p. 422

3) Intervento di G. Buonvino in AAVV, Per una rifondazione dell’astrologia (Edizioni Ricerca ’90, Napoli, 1993, a cura di Ciro Discepolo), p. 32


 



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